Una piccola nota di benvenuto

Cosa è un Giardino Filosofico? L'abbiamo immaginato come un luogo di incontro tra amici, in cui la filosofia è a casa. E' un poco epicureo, non sale verso le meteore, scende in terra tra le persone, appunto, in un piccolo giardino, a fare filosofia dove normalmente viviamo. L'Inventificio Poetico è, ispirandosi a Pietro M. Toesca, lo spazio delle invenzioni, quelle che rendono sensato vivere. Per sapere che al mondo il bene supera il male basta dire che siamo ancora vivi, altrimenti non saremmo più qui. Insomma, cerchiamo di alimentare questa differenza, in ciò consiste l'utopia del Giardino Filosofico e Inventificio Poetico, il cui sottotitolo è: "Volgere liberi gli occhi altrove".


lunedì 4 giugno 2012

XXXV Incontro. L'Amore tra psicoanalisi e mito.





















Questo è l'albero genealogico tratto dalle Figlie del sole di Karol Kerényi. Nell'analisi dei miti Luce Irigaray indica il movimento del meccanismo mitologico e religioso che ha portato ad una concezione del mondo solo maschile. Qual è il problema fondamentale per la Irigaray? Ciò che mette in questione è che in quel moto vi è sempre celata l'origine, cioè, la madre. 

Essa vi perde la sua prerogativa di dare la vita, di essere veramente il punto d'origine che dà al mondo i figli. La genealogia reale viene sempre sostituita simbolicamente con una genealogia trascendente e religiosa. Di questo taglio il più grave è quello che si produce nella relazione tra figlia e madre. Con questo taglio si consente all'uomo di imporre il suo dominio. Cosa significa taglio? Ad esempio: Eva nasce da una costola di Adamo, inoltre Adamo è figlio di Dio. Accade dunque che la donna sia completamente esclusa dalla nascita. Questo è il modo con cui racconta l'inizio la religione cristiana. Cosa determina questa separazione con la madre? L'affermazione di una umanità tutta orientata verso i valori fondati dal religioso e dal trascendente, insieme all'oscuramento dei sentimenti a vantaggio di una concezione ideale e astratta. Sentimenti la cui scomparsa possiamo seguire nei miti di Eros e Afrodite. Afrodite nasce da Urano. Sapete la storia. Urano concepisce insieme a Gea, o Gaia, o Terra. Ma Urano, il cielo, rimane dentro di lei impedendole di dare al mondo i figli, cioè l'individualità. Cronos, uno dei figli prigionieri, sente nel ventre di sua madre la sofferenza che Urano le sta provocando dunque, narra Esiodo, rivolgendosi a Gaia le dice che penserà lui a liberarla. Prende un falcetto e taglia a Urano le vergogne, così dice Esiodo, poi getta tutto nell'Oceano. Lo sperma che fuoriesce dà forma ad Afrodite che atterrerà prima a Citera e poi sulla spiaggia di Cipro, perciò detta ciprigna. Abbiamo così una coppia mitica a indicare l'amore. Dal lato maschile Eros e da quello femminile Afrodite. Non c'è niente da dire ma quello che viene dimenticato dell'amore è proprio questo secondo lato. Così noi vediamo sempre in ogni rappresentazione come Psiche, rapita da Eros, che poi si innamora di lei, sia sempre sdraiata tra le sue braccia. Due differenti interpretazioni possiamo darne. Da un lato che Psiche è sdraiata e occupa spazio, dunque, non è solo spirito. Sia pur eterea ha anche una forma fisica, occupa con il suo corpo un luogo. Ma anche, forse, che è sdraiata perché è dominata esclusivamente da Eros, cioè il lato maschile dell'amore. A Eros manca ciò che ha Afrodite. Afrodite ha la tenerezza, una tenerezza che non è solo Agape, non è solo affetto fraterno, non è solo amicale, è anche erotica. Ma torniamo al lato maschile. Eros non può farsi vedere da Psiche pena la perdita. Capite come sia difficile coltivare una relazione amorosa in queste condizioni. Psiche è curiosa e nottetempo illumina il bellissimo volto di Eros, purtroppo le cade una goccia di olio bollente, il Dio si sveglia e la abbandona. Psiche a sua volta visto il Dio e sedotta dalla sua bellezza lo cercherà ovunque. La prima volta, alla vista della bellissima Psiche Eros, che sta per lanciare il dardo, se lo fa cadere sul piede e se ne innamora, un'altra volta gli scivola mentre fugge e cade sul piede di Psiche che si innamora di lui. Apuleio narra la fine di questa fiaba "All’istante fu servito un sontuoso banchetto nuziale: lo sposo era seduto al posto d’onore e teneva fra le braccia Psiche, poi veniva Giove con la sua Giunone e quindi, in ordine d’importanza, tutti gli altri dei. "Poi fu la volta del nettare, il vino degli dei; e a Giove lo servì il suo coppiere, il famoso pastorello (Ganimede era il coppiere degli Dei, ma dicendo pastorello qui pare che Apuleio indichi Pan, cioè il dio pastore), agli altri, Bacco. Vulcano faceva da cuoco, le Ore adornavano tutto di rose e d’altri fiori, le Grazie spargevano balsami e le Muse diffondevano intorno le loro soavi armonie. Apollo cominciò a cantare accompagnandosi sulla cetra; Venere, bellissima, si fece innanzi danzando alla soave melodia di un’orchestra ch’ella stessa aveva predisposto e in cui le Muse erano il coro, un Satiro suonava il flauto, un Panisco (seguace di pan) soffiava nella zampogna. "Così Psiche andò sposa a Cupido, secondo giuste nozze e, al tempo esatto, nacque una figlia, che noi chiamiamo Voluttà." Ecco cosa accade alla fine, Psiche sposa Cupido. Ne nasce la Voluttà, il dizionario ne descrive il significato: piacere intenso che deriva dalla soddisfazione degli impulsi sessuali. Venere nella fiaba è la madre di Eros, si tratta di un mito tardivo, viene così trasformata nella concezione con cui pensiamo all'amore femminile, perché è perfida con i suoi intrighi e decisa a dividere il figlio da Psiche, non ha alcuna tenerezza. Così l'amore lo vincoliamo alla conquista della voluttà che prende Psiche e la mette orizzontale, di conseguenza pensiamo ad Afrodite come invidiosa, gelosa, lasciva e afrodisiaca. Oppure, al contrario, immaginiamo, in alternativa alla voluttà, solo l'amore fraterno dell'agape, in latino caritas, da cui è escluso l'eros, il desiderio. Non c'è più spazio per il vero carattere di Afrodite, che è tenerezza ed eros insieme. D'altronde noi concepiamo la sessualità come qualcosa che porta alla perdizione, che degrada, come se l'erotismo fosse un pericolo da cui guardarsi. Freud è ancora dentro questa concezione. Pertanto è come se l'alternativa fosse o dare sfogo alle nostre pulsioni oppure sublimarle, ma a sfogarle si mette in pericolo la civiltà e la sua economia. Ecco, la morale dello spirito porterebbe a sublimare l'amore con l'arte, con il lavoro e a cedere alla sessualità solo per procreare. Il disagio della civiltà di Freud mette in un certo senso in evidenza la contraddizione in cui ci troviamo con questo modello. La libido viene trascesa attraverso la creazione di un mondo civile che poi la deve limitare, la deve contenere, la deve nascondere e penalizzare perché se ne vergogna. Si crea in questo modo  terreno fertile alla nevrosi. Ma questo modo di vedere è assolutamente triste, dice la Irigaray. Perché il suo esito è una teologia che è contraria all'eros e a cui segue una degradazione pornografica della donna. In questo modo la donna può solo decadere, dunque la vergogna, o può riscattare la degradazione con la procreazione. Il problema è, secondo la filosofa francese, che viviamo una concezione della sessualità unisessuata. L'erotismo è incapace di dare forma ad un amore che non sia solo atto procreativo o il suo pervertimento. La libido descritta da Freud è neutra, imparentata all'indifferenziato, al caos primitivo. Essa precede la definizione degli individui. In altra tradizione più recente, ma ciò non significa che non risalga a una traccia più antica, Afrodite è figlia di Dione e di Zeus, Dione si chiama anche Dia che è il femminile di Dio. Perciò è figlia, Afrodite, di un Dio e di una Dia. Afrodite è già individuata, sessuata e, insieme, anche prossima al cosmo. Il mito, in questo caso, mostra l'amore umano, individuato, sessuato, nascere in una donna. Eros è, invece, all'inizio di tutto, è neutro, è indifferenziato. Eros dice Esiodo nella Teogonia spinge Caos e Gaia ad accoppiarsi, così nasce l'oscurità luciferina di Ade e la notte, la luce e il giorno. Poi di nuovo Eros spinge Gaia verso Urano, da cui nasceranno i primi Dei. Eros non è individuato è una forza naturale. Afrodite, invece, narra Esiodo sempre nella Teogonia, nasce così:

E le vergogne, cosí come pria le recise col ferro,
dal continente via le scagliò nell'ondísono mare.
Cosí per lungo tempo nel pelago errarono; e intorno
all'immortale carne sorgea bianca schiuma; e nutrita
una fanciulla ne fu, che prima ai santissimi giunse
uomini di Citèra. Di Cipro indi all'isola giunse.
E qui dal mare uscí la Dea veneranda, la bella;
ed erba sotto i piedi suoi morbidi crebbe; e Afrodite
la chiamano gli Dei, la chiamano gli uomini: ch'ella
fu dalla spuma nutrita: Ciprigna anche è detta, da Cipro
ov'ella anche approdò: Citerèa perché giacque a Citera;
e geniale perché dalle membra balzò genitali.
Compagno Amor le fu, la seguí Desiderio leggiadro,
quando ella prima nacque, dei Numi avanzò fra l'accolta.
Tal da principio onore possiede, tal sorte prescelta
a lei fu tra le genti mortali e fra i Numi immortali:
i virginali colloquî d'amore, ed il riso e gl'inganni,
ed il soave sollazzo, coi baci piú dolci del miele.

Afrodite, insomma, nel mito originario manifesta la possibile spiritualizzazione degli istinti e delle pulsioni con la dolcezza e la tenerezza. Per lei l'agape non è separato dall'eros. In Greco l'attributo specifico di Afrodite è filotés, cioè tenerezza. In questa condizione l'amore richiede che i sessi siano differenziati, che una distanza li separi tra di loro e dal cosmo. Che non siano sempre in copulazione, né che l'unico intento sia procreare. Afrodite è l'opposto di Eva, non è come lei seduttrice, esprime la spiritualità della carne attraverso la filotés. L'avvento dello spirito nella carne attraverso la tenerezza presuppone nella donna la libertà. Libera nei gesti e nelle parole divinizza il suo corpo per non farlo regredire allo stato animale o elementare indifferenziato. E' divina questa elevazione dell'amore umano che dal punto di vista della nostra tradizione culturale più antica è compito delle donne. Se esse ne sono private o spodestate l'amore ritorna al limite dell'animalità, della sublimazione disincarnata o della morte. Nella condizione di perdita della funzione femminile, cioè della filotés, l'amore diventa colpa, perché regredisce alla condizione caotica, con il rischio di un coito infinito. Qui il corpo prevale con la sua spinta pulsionale, per questo è necessario sublimarlo nell'aldilà, per limitare il Caos primitivo nell'aldiquà. L'istinto maschile, diventato l'agente principale, sposta la vera vita e inverte il caos primitivo in un Dio maschio, un Dio unico che non sa più insegnare l'amore tra donna e uomo. Tale condizione fa venire meno la differenza tra i sessi ed elimina il rispetto della natura. Allora la procreazione e la sublimazione diventano mezzi necessari per uscire dal caos del coito perpetuo. Ma così l'amore diventa una colpa, perché in queste condizioni l'amore distrugge l'identità umana, annienta corpo e spirito. La pulsione perpetua all'accoppiamento, senza intelligenza né bellezza, senza rispetto per l'essere umano vivente, senza la sua divinizzazione, lo rinvia all'indifferenziato e al caos. La libido di Freud ne descrive molto bene questo movimento che si manifesta nella storia anche sotto forma mitica nella sessualità del polo maschile primitivo, cioè direttamente proveniente da Urano. Il rischio di questo caos primitivo è così grande che non può essere interrotto neanche dalla sublimazione, solo l'atto procreativo lo può fermare. Insomma, per la Irigaray, Freud parla solo della sessualità maschile arcaica, dove le pulsioni vitali sono legate all'esclusivo possesso della fecondità. La pulsione di morte è il bilanciamento che desidera distruggere questo legame di cui si è fatto prigioniero da se stesso l'uomo. Questo carattere negativo lo vediamo in opera nelle pulsioni vitali quando non rispettano l'altro da sé, cioè quasi sempre. Per questo Freud arriva al totale pessimismo sulla civiltà. Secondo la Irigaray, Freud vede solo la sessualità arcaica in cui il caos del desiderio precede l'incarnazione umana e l'identità sessuale. Freud vede un uomo simile a Urano che accoppiandosi in modo continuato non fa nascere figli, solo così può avere e conservare un potere illimitato. Se e quando li fa nascere devono essere  solo di sua proprietà, solo del suo seme. Spinto da Eros l'uomo si immerge nel caos perché non fa l'amore con un'altra, non lo fa in due, non vive con tenerezza e rispetto la seduzione sessuale. Questa mancanza volge la sessualità nel luogo in cui Psiche è sdraiata poiché nella relazione viene esercitato il potere. Potere sull'origine per accumulare economicamente una eredità da lasciare alla propria progenie maschile. Progenie che deve essere certa, perché non si può lasciare il frutto del proprio lavoro ai figli d'altri. Per questo è necessario che la sessualità non sia gestita dalla donna, che sia l'uomo ad assumerne la responsabilità. La sessualità diventa il possibile terreno di una regressione, senza rispetto tra gli individui e senza regolamentazione civile, per questo infine viene vietata dalle autorità spirituali, così pensa Freud. Ma questa descrizione corrisponde a una sessualità elementare, utile solo alla riproduzione della specie, che distrugge la filotés di Afrodite e diviene preda del risentimento e dell'istinto di morte. L'uomo diventato il depositario degli insegnamenti sull'amore, si accredita di averne le qualifiche, ma porta la donna alla degradazione, nonostante tutto essa prova un certo piacere, che poi la vincola ad amare e concepire. Potendo ricavare solo dall'uomo questa soddisfazione le viene impedita qualsiasi alternativa. Il principe azzurro ricercato dalla donna diventa il suo dominatore, cioè il capofamiglia. Ecco a cosa è necessario il nucleo famigliare. La donna abbandona la propria madre per andare a vivere con un nuovo capofamiglia. Qui si esercita il dominio dell'uomo su ciascuna donna. Ma questo amante trascina la donna verso la sua dimenticanza, la sua degradazione, una degradazione che però le procura piacere. Sia questo il suo masochismo? Una iniziazione sessuale che non ha alcuna dimensione spirituale e che non valorizza le differenze tra uomo e donna. Eros distrugge la sessualità, non la realizza, perché riporta il desiderio ad una epoca arcaica, precedente ad Afrodite, non tanto e solo nel tempo quanto soprattutto nel valore. Questo, per la Irigaray, è il desiderio e l'amore che insegnano gli psicoanalisti. Il desiderio erotico maschile anziché insegnare creazione, individuazione e ricreazione delle forze umane, ne destruttura l'identità nella fusione. Ciò porta le donne all'oblio e alla sottomissione puerile, le fa schiave della sessualità maschile. Se ne consoleranno con la maternità. Maternità che la spiritualità indica essere l'unico esito della sessualità femminile, perché è necessaria a perpetuare genealogie patriarcali, a dare uomini allo Stato, a servire i poteri culturali maschili. D'altronde, per le donne la maternità diviene il luogo attraverso cui evitare l'abbandono e la decadenza cui sono esposte dal desiderio maschile, cioè il modo in cui recuperare il piano affettivo e relazionale ormai perso. Soprattutto con la madre e con le altre donne nel gineceo. Come siamo arrivati a questo punto? Per la Irigaray un crocevia è costituito dalla perdita di relazione con la madre e dalla sottomissione alla legge del padre. La distruzione della genealogia femminile e della sua dimensione divina è spiegata chiaramente nei miti e nelle tragedie greche. Dia, madre di Afrodite, verrà spodestata da Eva. Zeus rimarrà un Dio dalle innumerevoli amanti e senza equivalente femminile. Dio, infine, non avrà necessità neanche delle amanti. Forse le mistiche esprimono con la tenerezza del loro amore e la corporeità del loro sentimento questa dimenticata unione tra il corpo e lo spirito. La dea Afrodite perde la madre, Ifigenia  perde la sua quando è offerta dal padre in sacrificio agli dei per vincere la guerra contro Troia, la madre non ne sapeva nulla. Anche la parola oracolare trasmessa di madre in figlia diverrà apollinea, sarà sempre una donna a vaticinare, ma senza prerogativa matrilineare, il dono non passerà più di madre in figlia. Così è interrotta la sapienza e la cultura femminile. Antigone, fedele alla genealogia materna e alle sue leggi, verrà punita dal tiranno Creonte per il dominio su Tebe. Non esistono coppie madre figlia felici nell'Antico Testamento, Eva addirittura non è generata dalla madre. Maria ha una madre, Anna, ma nel Nuovo Testamento è quasi inesistente. L'esempio più significativo del rapporto madre figlia è quello narrato nel mito di Demetra e Persefone. Per Luce Irigaray il mito è prossimo alla storia, narra, per così dire, la tendenza di fondo del lungo periodo. I miti Greci sono di derivazione asiatica o sconosciuta. Arrivano popolazioni nomadi che spostandosi portano delle nuove narrazioni nelle terre conquistate, qui si sono sovrapposte e sedimentate a quelle originarie. Questo aspetto è messo in rilievo dalla Gimbutas, ma anche da Danielou quando mostra come alla mitologia originaria degli indigeni nella valle dell'Indo si sia sovrapposta quella ariana dei conquistatori. La storia (per la Gimbutas esisteva già da migliaia di anni una forma scritta e quindi storica che ancora non sappiamo decifrare) e la mitologia matrilineare viene così trasformata in tempi brevissimi, poche migliaia confronto ai centomila anni precedenti. Tutto avviene tramite le nuove conquiste guerriere di popolazioni nomadi strutturate e dotate tecnicamente di una cultura patriarcale. Popolazioni che avevano addestrato i cavalli perciò erano veloci e potenti. Le narrazioni precedenti vengono sostituite e mascherate dalle narrazioni patriarcali dei conquistatori. Cultura che prende il sopravvento e copre quella precedente di cui rimangono però delle tracce. Questo accade ancora ai giorni nostri, pensate al Kosovo o all'Afghanistan. La figlia di Demetra è rapita da Ade. Sedotta dal dio degli inferi perché non torni più da sua madre. Erebo, Ade, dio dell'ombra, contrapposto all'ombra terrestre di Nyx, la notte, impedisce a Persefone di tornare alla luce del giorno. Persefone in un campo di grano coglie un narciso e Edoneo, altro nome di Ade principe degli inferi, apre una voragine nella terra e la rapisce. Demetra, la madre, è disperata. Cerca Core, altro nome di Persefone, ovunque, poi la terra degli uomini diventa una landa desolata, il gelo si estende e l'inverno è ormai una unica stagione. Giove vede il rischio per la vita degli uomini e manda il suo messaggero, Hermes, per chiedere ad Ade di liberare Core-Persefone. Ade non può che ubbidire ma fa mangiare a Core-Persefone una manciata di chicchi di melograno avvelenati, così tornerà tre mesi all'anno, quelli invernali, nell'Ade. Colui che accetta un dono dal dio degli inferi ne diviene sempre ostaggio. Questa narrata è la versione omerica, in quelle posteriori la coppia Demetra Core-Persefone diviene sempre più colpevole, insomma, sempre più simile a Eva seduttrice. Ma nella versione omerica Core-Persefone ha solo raccolto un narciso. Comunque, quali che siano le ragioni è evidente che il destino di queste donne è in mano a due uomini. Dietro si nasconde un conflitto tra Zeus e Ade per il potere. Giove, Poseidone e Ade si devono dividere il dominio del cielo, degli oceani e del regno sotterraneo. Il rapimento più in particolare riguarda un conflitto tra Zeus e Ade. Fratelli che non possono incontrarsi a causa della loro genealogia. Zeus nasce da Gaia e Ade dal Chaos. Zeus è figlio del polo femminile, Ade del polo maschile, i poli che hanno originato il mondo tramite l'aiuto di Eros. Ma Zeus vuole divenire re degli Dei anche se i poteri maschili infernali hanno cercato di distruggerlo impedendo la nascita degli individui differenziati dal Caos. Ricordate Urano? Zeus vuole capovolgere il Caos iniziale e divenire l'unica potenza divina monoteista. Per questo Giove cede sua figlia in sposa a Ade, ciononostante questi la rapisce e la violenta. Questo episodio indica il passaggio dal matriarcato al patriarcato. Giove scambia la verginità di sua figlia contro l'affermazione della sua onnipotenza maschile. Urano impediva la nascita individuale e sessuata, il nipotino, Giove, cede la verginità di sua figlia in cambio del riconoscimento di Dio degli dei dell'Olimpo. Lo scambio avviene senza che la figlia e la madre ne sappiano niente. Il potere di Zeus sacrifica la verginità della figlia, l'affetto della moglie, la relazione tra figlia e madre. Giove recide ogni relazione. Perché la posta in gioco del suo baratto con Ade è troppo importante, il dominio sull'Universo. Sacrifica per questo la parola di Core e di Demetra e anche la sua. Giove diventa il più alto tra gli dei, il più luminoso ma trascina con sé il più basso, il più oscuro. Questa è la potenza infernale degli dei maschili, un dio invisibile, ladro e stupratore, l'uomo nero che temono tutte le bambine. Questa è l'ombra della sovranità di Giove. Demetra saputo l'accordo abbandona l'Olimpo e lascia la terra nella carestia. Dopo un anno Giove promette a Demetra qualsiasi dono. Lei vuole solo rivedere la figlia. Alla fine costringe Giove a liberare Persefone. La figlia non si rivolgerà mai a sua madre, implorerà sempre e solo il padre, Giove. Core, Ifigenia, Antigone, Maria e Eva non hanno più madre. Tutto è giocato da scommesse e accordi tra uomini o divinità maschili. Allora la verginità diviene il luogo della sottomissione femminile. Il gioco di trattative esclusivamente maschili. Ma la verginità dovrebbe essere solo un rapporto che ha la donna con la sua integrità fisica e morale, non il commercio e la posta di trattative tra maschi. Dice Irigaray: 'Essa dovrebbe imparare a proteggere se stessa, i suoi dei e le sue leggi, l'amore di cui è capace se non è trascinata fuori da sé, rapita, violentata, privata della libertà dei gesti, della parola, del pensiero'. Ci troviamo di fronte a una donna che per millenni si è vista sottratta l'identità, per questo sente la necessita di essere posseduta da un uomo, soffrirebbe di un bisogno di tipo orale, è affamata. Proiezione inversa (se una funzione è l'inversa di se stessa si dice che è involuta) del desiderio maschile descritto da Freud, desiderio che è il risultato e l'effetto della sottomissione a cui la donna è assoggettata. Sopravvive in quel desiderio il caos iniziale che Eros ha aperto a fianco della terra. Caos sempre presente che si manifesta nell'economia pulsionale, non genitale, della libido, nella quale la donna è prigioniera. L'uno, l'uomo, vittima della regressione incestuosa, quasi a divenire origine di se stesso, e della possessione anale, la proprietà, l'altra, lei, ridotta a una mendicità di tipo orale, sempre affamata di lui, ma senza mai ritorno a sé. A forza avrebbe imparato ad aver fame dell'abisso che lui ha aperto in lei, una fame insaziabile, bulimica, che non è la sua fame, ma dell'abisso in lei di una fame naturale e culturale che però appartiene all'altro. Questo non sarebbe accaduto se lei non fosse stata separata dalla madre, dalla terra, dai suoi dei e dal suo ordine. La colpa allora della donna è di essere seduttrice sul baratro vuoto del niente. Questo vuoto si è reso necessario per affermare una genealogia maschile, un ordine e una economia della proprietà. E' necessario per questo che le donne ricostruiscano la loro genealogia, per questo la madre è fondamentale. Freud stesso dice che bisogna ricercare la relazione madre figlia prima della civiltà greca, in un'altra civiltà precedente e distrutta. Ma ciò non impedisce a Freud di teorizzare la necessità che la figlia passi attraverso l'odio per la madre, così diventando ostaggio del desiderio e della legge del padre. Insomma, Freud si comporta come il principe della tenebre. Trascina le figlie nell'ombra e nella separazione dalla madre e da sé per consegnarle a una cultura giocata solo tra uomini, a partire dal diritto, dalla religione, dal linguaggio, dalla verità, dalla saggezza, sempre tutte maschili. La figlia vergine, in questa cultura, diviene donna solo se sottomessa amorosamente a una condizione che per lei rappresenta Ade travestito da principe azzurro. Cosa perde in questo modo? La sua infanzia, la relazione con sua madre e la filotés di Afrodite. Se vogliamo che la storia ci ricordi tutto ciò che è accaduto dobbiamo, secondo la Irigaray, interpretare l'oblio della genealogia femminile e ristabilirne l'economia. Al contrario nella psicoanalisi la fusione madre figlia è troppo rischiosa, deve essere creata una distanza tra di loro. Ma non è così per la Irigaray, pericoloso è il rapporto tra il figlio e la madre. Il figlio non sa confrontarsi con chi l'ha generato, non c'è reciprocità, il figlio non può che identificarsi in colei che lo ha portato. Ma la figlia è potenzialmente madre a sua volta, la reciprocità per lei è più facile. Essa può convivere con la madre più felicemente essendo la terra il loro ambiente, essendo entrambe, come la terra, feconde e nutritive. Il rapporto della figlia con la madre per Luce Irigaray esprime di fatto il modello di linguaggio più evoluto ed etico. La figlia sa rapportarsi con la madre nel pieno rispetto della loro relazione. La scuola, il mondo sociale degli uomini, la cultura patriarcale distruggeranno questo innato e felice dono. Lo vedremo ancora con Julia Kristeva e più approfonditamente con Melanie Klein. 'Il patriarcato è fondato sul rapimento e sulla violenza che distrugge la verginità della fanciulla e l'uso di questa in un commercio tra uomini, ivi compreso a livello religioso. Questo commercio si fonda sulla circolazione della moneta, ma anche sullo scambio di beni naturali con, come posta, l'acquisizione di poteri simbolici o narcisistici. Su questa colpa originale il patriarcato ha costruito il suo cielo e i suoi inferni. Alla fanciulla ha imposto il silenzio. Ha dissociato il suo corpo dalla sua parola, il suo piacere dal suo linguaggio. L'ha trascinata nel mondo delle pulsioni maschili, mondo dove essa è diventata invisibile e cieca a se stessa, a sua madre, alle altre donne e perfino agli uomini, che forse è così che la vogliono. Per ristabilire una giustizia sociale elementare, per salvare la terra da una sottomissione totale ai valori maschili (che privilegiano spesso la violenza, il potere e il denaro), è necessario restaurare questo pilastro mancante della nostra cultura: la relazione madre figlia nel rispetto della parola e della verginità femminili. Questo implica una modifica dei codici simbolici, in particolare del linguaggio, del diritto, della religione'. Con queste parole si chiude Il tempo della differenza di Luce Irigaray. 


Franco Insalaco

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